Eccomi, the final episode…
Ora che “l’altra me” si gode quel senso di pienezza che ti dà l’essere riuscita a usare le parole per esprimere le emozioni, io ci provo di nuovo a raccontare ancora un paio di cose sulla vita in fattoria.
Ci pensavo prima e mi dicevo “e che c’avrai da raccontare di una settimana in fattoria che ancora scrivi?”, è vero è stata solo una settimana, eppure ho visto, imparato e fatto un sacco di cose. Il giorno prima di partire, parlando con i padroni di casa facevo, un po’ scherzando ed un po’ no, la lista di tutte le cose nuove che avevo imparato o fatto per la prima volta durante quella settimana.
E a parte ciò che ho già raccontato ho anche visto un frantoio, di quelli vecchio modello, ed ho scoperto come si fa’ l’olio. Ho passato una mattinata a pulire l’orto dalle erbacce per scoprire che ha un effetto profondamente rilassante su di me. E poi ho raccolto le mele dall’albero.
Mentre andavamo al frantoio a portare le prime cassette, Barbara e Maurizio, i miei ospiti, mi hanno avvisata “Il tizio del frantoio è un po’ particolare, attacca bottone e può andare avanti a parlare per delle ore. E poi è fissato con il peso: vedrai che ti squadra e cerca di indovinare quanto pesi e poi per provarti che ha ragione ti fa salire sulla pesa delle olive!”. La visita al frantoio si preannunciava decisamente interessante. Io me ne sono stata zitta zitta ad osservare fino a quando il frantoiano, così lo chiamavano, mi ha chiesto se avevo la lingua. A quel punto ho semplicemente annuito e quando lui mi ha chiesto da dove venissi, credendo che fossi straniera, la prima risposta che mi è venuta in mente è stata “Inghilterra”. Lui mi ha guardato tutto sorpreso e mi ha detto “ma, strano, non mi sembri, quegli occhi hanno troppa luce”, al che ho corretto il colpo dicendo che i miei genitori sono di origini spagnole. Ma dentro di me mi chiedevo se la “luce” che diceva di vedere fosse quelle degli occhi scuri mediterranei o quella degli occhi che cercano di coprire una bugia con scarsi risultati… Ad ogni modo, invece che sul mio peso, ha deciso di indovinare la mia età. “E fammi indovinare un po’, hai 26 o 27 anni” e io, “No, no, 28”. Insomma sono uscita dal frontoio con un’identità nuova di zecca: 28enne inglese con origini spagnole, poco credibile, ma divertente!
Ma veniamo all’olio: in questo frantoio mettono le olive in una sorta di grande vasca dove ci sono due macine di pietra che girano, girano, girano fino a ridurle in una poltiglia che ha l’aspetto di un patè (ma non il sapore!). Poi questo impasto viene spalmato su dei dischi che vengono impilati l’uno sull’altro e messi sotto una pressa. Qui l’olio, misto ad acqua, comincia a colare e viene raccolto in una centrifuga dove poi viene separato dall’acqua e voilà, è pronto. Ci sono anche dei frantoi più moderni che funzionano in modo diverso, ma io non ne ho visti. Comunque è molto bello ora, quando cucino, avere un’idea di cosa succede prima e di come, dall’albero, si arriva al condimento per l’insalata.
E poi ho lavorato nell’orto. Mia madre ce l’ha sempre avuto un orto con un po’ d’insalata e di pomodori e tutte le erbe aromatiche, ma le mie massime incursioni in questo territorio erano per raccogliere qualche pomodoro o qualche foglia di basilico che “scusa mammina ma non c’ho voglia di sporcarmi tutta di terra”. Poi, un giorno, visto che il tempo non era proprio bello, Barbara mi dice “Che ne dici se oggi lavoriamo nell’orto” ed era chiaramente una domanda retorica perché, essendo loro ospite, non mi potevo permettere di fare la schizzinosa come facevo con mia madre. E quindi nell’orto, a togliere le erbacce. Era tutto bagnato perché aveva piovuto da poco, io avevo gli stivali di gomma verde militare, che non mettevo dai tempi delle mie field trips lungo i fiumi colombiani, e i guanti da giardinaggio. Le maniche della felpa hanno cominciato a sporcarsi di fango ed ho pensato, letteralmente, di rimboccarmele, così non si sarebbero sporcate di più. Chissà che problema ho io con l’idea di sporcarmi. Chiaramente le ortiche hanno cominciato a pungermi le braccia nude ed io ho pensato che era meglio la felpa sporca ed ho riabbassato le maniche. Comunque c’è qualcosa di speciale nel lavorare all’aria aperta, accucciati, a diretto contatto con la terra. Ora, io non mi intendo assolutamente di meditazione, ma in qualche modo ho l’idea che la sensazione che ho provato in quel momento fosse simile a quella che si prova meditando. E’ come se all’improvviso fossi da sola, in uno spazio tuo, connessa e collegata alla terra in un modo difficile da descrivere a parole. E senti i profumi della terra bagnata che si mescolano con quelli delle piante che hai intorno, e ti fermi ad ammirare un cespo di insalata che ha una forma così perfetta che ti sembra impossibile che una volta fosse solo un semino, e poi magari scorgi un maggiolino su una delle foglie che stai strappando e gli dai il tempo di passare ad una foglia di insalata. Ecco insomma una sensazione di calma, di lentezza, di tranquillità inaspettatamente ed incredibilmente rilassante. Mamma, mi dispiace, ad averlo saputo prima mi sarei goduta quell’orto insieme un po’ di più, ma sono sicura che abbiamo ancora tempo per recuperare.
E anche raccogliere le mele, direttamente dall’albero, e riempire un cesto intero, senza andare al mercato, ha qualcosa di magico e speciale. E poi le abbiamo fatte cotte, che detto così fa tanto cibo da ospedale, ma se le tagliate a fettine, le bagnate con il succo di limone, un po’ di zucchero di canna, cannella a volontà e poi le fate cuocere qualche minuto in padella e poi magari le servite con una pallina di gelato alla vaniglia sono veramente, veramente deliziose!
belle bellissime